venerdì 31 agosto 2012

Bertin. Il problematicismo, crocevia di transito della pedagogia

Franco Frabboni

1. IN RICORDO DI UN MAESTRO

Il 2012 della Pedagogia italiana e dell’Alma Mater petroniana ricorda il centenario della nascita di un illustre Padre delle scienze dell’educazione del Novecento: Giovanni Maria Bertin. E’ un samurai petroniano che riposa - lassù - sulla collina di Spoon River. Meglio: ai piedi del colle di San Luca.
In queste righe porremo alla “moviola” (al rallentatore e in gigantografia) una personalità scientifica e umana alla quale siamo debitori di una irripetibile stagione di discepolanza. La sua dirompenza epistemica si propone da autostrada (a-più-corsie: storiche, filosofiche, letterarie, estetiche e didattiche) di sicura tenuta ermeneutica e di inesauribile vitalità esistenziale per il lungo il viaggio dell’educazione.
In punta-di-piedi, ben consci della precarietà della nostra avventura interpretativa non rinunceremo a identificare alcuni nuclei concettuali che rischiarano la luna del Problematicismo pedagogico (d’ora in poi: Pp) che sta al crocevia della riflessione educativa nazionale ed europea.
Apriamo il sipario dando voce a una strofa del Manifesto pedagogico di Giovanni Maria Bertin.
La prospettiva problematicista moderna non è frutto di un astratto progresso /della riflessione educativa/, ma è frutto della rivoluzione scientifica, della rivoluzione tecnica, della rivoluzione politica tuttora in corso nella storia dell’umanità. /…/ La consapevolezza della problematicità dell’esperienza e l’esigenza di una risoluzione razionale di essa trovano perciò nelle tendenze della cultura contemporanea la loro riprova, e con essa la garanzia della loro validità come princìpi metodologici generali di un’interpretazione filosofica della realtà e di un atteggiamento etico corrispondente” (1).
Il pedagogista bolognese propone alla Pedagogia due orizzonti speculativi prioritari: il versante della riflessione teoretica e il versante della progettazione esistenziale.
A tal fine, la corsia di scorrimento del Pp chiede alla Persona l’opzione intellettuale di avventurarsi in una coraggiosa sfida educativa. Questa. Progettare un’umanità/altra in grado di pensare con la propria testa (possibile, se dotata di un pensiero plurale e laico) e di sognare con il proprio cuore (possibile, se dotata di passione e di solidarismo sociale). Avendo per obiettivo questo nobile progetto formativo, il Pp si dota di un telescopio attrezzato a inquadrare anche mondi sconosciuti alle teorie dell’educazione legittimate dalla storiografia ufficiale. Traguardo perseguibile relegando in soffitta i modelli investigativi (le teorie-della-conoscenza) ricoperti di incrostazioni assiomatiche e ascientifiche. Nella consapevolezza che quando i saperi/pedagogici soffrono di miopia ermeneutica non sono più in grado di sbirciare e leggere il futuro dell’educazione.
A partire dal presente paradigma critico-fenomenologico, il Pp si dota di lenti adeguate per osservare e comprendere l’orizzonte universale (il piano razionale) dei possibili statuti logico/formali elaborati dalla ricerca in educazione. Un’epistemologia, dunque, intesa come possibilità e non come certezza speculativa, come ipotesi e non come assioma per un eventuale rispecchiamento progettuale.
Di conseguenza, l’obiettivo del Pp è di reclamare un congegno teorico che trascenda la parzialità della forme deterministiche presenti nei contesti educativi: ponendosi da idea-limite abilitata a fare interagire dialetticamente le tante strade della formazione delle giovani generazioni. Cioè a dire, un’idea di educazione in grado di contrastare l’influenza di modelli già/dati, di seconda mano: soprattutto, se rivendicano l’assioma di una validità assoluta e la capacità di decidere una volta per tutte le vie dell’educazione.
Pertanto, la scelta del modello pedagogico non é mai il frutto di un’equazione algebrica, perché si configura come un’opzione che implica - insieme - fedeltà alla ragione (intesa come principio antidogmatico) e aderenza alla realtà (intesa come percorso esistenziale).
Ne deriva che il Pp porta per mano il soggetto/Persona al di là degli anoressici orizzonti tolemaici cari alle Pedagogie - più moderniste che postmoderniste - che hanno abitato il Ventesimo secolo. Stancamente impegnate a cinguettare vuoi spartiti soggettivisti (dando sonorità ai piani dell’individuale e del privato), vuoi spartiti oggettivisti (dando sonorità ai piani del sociale e del collettivo). All’interno di questo dualismo interpretativo, il Pp richiama l’attenzione sull’infinita problematicità dell’esperienza educativa, interpretabile a patto di dare la mano alla sua legge trascendentale. Vale a dire, illuminando l’orizzonte-limite (tramite il principio di Ragione) dell’infinito repertorio dei suoi possibili modelli. Soltanto su questo altipiano fenomenico, il Pp eviterà le determinazioni aprioristiche e le soluzioni esaustive delle scuole pedagogiche ancorate a speculazioni di natura ontologica e metafisica.

2. L’ARCO E LE FRECCE BERTINIANE

Avanziamo la seguente tesi. Sulle spalle dell’arciere della foresta di Sherwood - di nome Giovanni Maria Bertin - campeggia un Arco (il Pp) fornito di sei nobili frecce: la Singolarità, l’Intenzionalità, il Dissenso, l’Impegno, la Lievità e la Progettazione esistenziale.
Ne porremo alla “moviola” - al rallentatore e in gigantografia - due: portano il nome di Singolarità e di Impegno.

LA FRECCIA DI NOME SINGOLARITA’. - Tendendo l’arco del Pp, Giovanni Maria Bertin scocca un dardo che va a centrare il bersaglio del soggetto/Persona.
Copernicano e mai tolemaico, il Pp é severo nel giudicare una stagione di transizione tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo presidiata da superpotenze economiche che dispongono - da novelli Polifemi - di un occhio soltanto: perdipiù tutto/mercato. Come dire, prediligono sguardi monodirezionali sia sul dominio dei sistemi produttivi, sia sul controllo dei monopoli dell’informazione mediatica, sia sulla standardizzazione dei consumi collettivi.
Conseguentemente, la stagione che inaugura il Duemila si trova al cospetto di una società “oggettivante” che nega ossigeno esistenziale alla Singolarità: irriducibile e inviolabile quanto a sentimenti, a pensieri, a sogni. A questa, il Pp delega il compito di dare futuro al carro dell’Orsa minore. Condizione ineludibile per far sì che la sua stella polare - la Persona - possa inondare di luce la rotonda dell’educazione. Assicurando senso significato ai processi di liberazione e di emancipazione - sociali, culturali, civili - di un’umanità da poco sbarcata sul terzo Millennio.
Per fronteggiare la deriva della manipolazione e dell’asservimento dell’umanità - di cui sono colpevoli due/Emme (il Mercato e il Mediatico) - il principio nietzscheano della Singolarità viene consacrato da Giovanni Maria Bertin a ultimo baluardo di difesa della donna e dell’uomo in una stagione storica dove l’omologazione sta troneggiando da totem di identificazione - e predestinazione - dei processi di sviluppo e di cambiamento del Pianeta.
Una Singolarità armata fino ai denti per sfidare il dilagante appiattimento conformistico dei modi di pensare e di sognare. Ben fornita sia di frecce targate diversità e vitalità esistenziale, sia di frecce targate intelligenza critica e moralità individuale. Una Singolarità, dunque, come tensione-alla-libertà, come orizzonte aperto verso un repertorio infinito di progettualità e di utopie.
Con la Singolarità, siamo sul crinale della dirompenza teoretica. Non solo in quanto Pedagogia rivolta al possibile, al futuro e all’inattuale, ma anche in quanto Soggettività che si distacca dalle metafisiche che espropriano il “corredo” della vita, giorno dopo giorno, tramite l’illusione romantica di una “naturalità” individuale elevata a valore assoluto.
In sintesi. L’avventura educativa reclama coraggio esistenziale. Definibile come scelta disincantata di fronte ai chiaroscuri della quotidianità. La sola in grado sia di stanare e denunciare - senza falsi pudori, stolte illusioni e ironico distacco - il mondo così com’è (popolato di maschere macchiate di cupidigie, farisaismi, inganni), sia di impegnare l’umanità del terzo Millennio a sfidare le patologie che affliggono gli odierni teatri planetari.
Nel condividere la sfida esistenziale del “coraggio”, il Pp sceglie senza incertezze il compito di umanizzare e di valorizzare lo scrigno della Singolarità sia delle donne, sia degli uomini attori dell’odierna contrada storica. Consapevole che a questa, con sempre maggiore frequenza, viene preclusa l’avventura umana dell’andare oltre la siepe leopardiana: oltre-il-qui, verso l’ignoto. In un mondo/nuovo che apra a una speranza pedagogica: popolare l’emisfero boreale (ricco) e l’emisfero australe (povero) di un’umanità equipaggiata sia di valori/culturali (un’umanità-còlta: capace di pensare con la propria testa), sia di valori/civili (un’umanità-responsabile: consapevole della non delegabilità dei propri diritti di cittadinanza), sia di valori/esistenziali (un’umanità-solidale: impegnata a costruire un mondo popolato di democrazia, di giustizia, di cooperazione e di pace).
Un’umanità al Singolare, dunque. Capace di ergersi da antagonista irriducibile dell’altra (mostruosa) faccia dell’umanità: il soggetto/Massa. La cui gracilità esistenziale è testimoniata dal fatto di essere manipolabile, omologabile, clonabile dai dispositivi di uniformizzazione e di catramazione di cui è in possesso il Leviatano dalle due/Emme.
E’ in questa prospettiva emancipativa che l’idea pedagogica di Bertin si fa tensione alla libertà: orizzonte aperto a un repertorio infinito di testimonianze, di opzioni e di valori. E’ un’ “idea” assunta e legittimata - in sede continentale - per la sua dirompenza civile, culturale ed esistenziale. Soltanto in sella all’umanità, la Pedagogia potrà avventurarsi sia lungo le praterie del possibile, del futuro e dell’utopico, sia lungo le frontiere abitate dal soggetto/Persona. A patto, si è detto, che si liberi per sempre sia dalle metafisiche che espropriano il corredo esistenziale dell’individuo, sia dall’illusione romantica di una naturalità ontologica quale valore assoluto.
Siamo giunti sulla collina dell’attualità storica e culturale del Pp. Lassù, si ode forte e chiaro il suo appello all’umanità ad abitare l’“altrove”: un mondo futuro disponibile a dare dimora all’inattuale e all’utopico. Dove l’originalità e l’eccezionalità della donna e dell’uomo (la loro Singolarità) potranno finalmente offrirsi da zattere di salvataggio nel caso di naufragi nel mare di mondanità immanenti, anonime, reificate.
Soltanto percorrendo i crinali della Singolarità si potrà lottare-contro: contro il disimpegno e il conformismo intellettuale, contro l’intolleranza e la falsificazione etica, contro il cattivo gusto e la mutilazione estetica, contro lo sfruttamento e la discriminazione economica, sociale, culturale.
LA FRECCIA DI NOME IMPEGNO. - A parere di Bertin, la Pedagogia è sempre intenzionata e impegnata in una qualche direzione. A decidere quale senso dare alla storia, alla società, alla cultura: a scegliere tra conservazione e progresso. La validità della sue direzioni educative non trova legittimazione soltanto nell’organicità della formulazione teoretica, ma soprattutto nella capacità di agire nella storia. Per realizzare in essa l’istanza della Ragione: intesa come esigenza di integrazione di tutti gli aspetti in cui si esprime l’infinita ricchezza della vita. Il fatto che tale obiettivo sia irrealizzabile in assoluto, data la problematicità dell’esperienza educativa, non nega ma al contrario rafforza la fecondità di quell’Engagement - mutuato da Sartre - tramite il quale le donne e gli uomini possono costruire, insieme alla loro umanità di singoli, anche l’umanità degli altri. Forte è il richiamo di Bertin all’Impegno etico-sociale, insistito è il suo richiamo alla cooperazione e alla solidarietà in un mondo sempre più contagiato dal disimpegno e dall’indifferenza nei confronti dell’altro-da-me. Con l’ovvia deriva verso disvalori privatistici, individualistici, qualunquistici. Di qui il suo appello alla Pedagogia perchè mai sia teorizzata stando “fuori” dall’esperienza educativa. Un modello formativo progettato in/laboratorio alluderebbe giocoforza a un’umanità astratta, astorica, inesistente. A un profilo di donne e di uomini isolati dalla maglia dei rapporti socioculturali con il loro ambiente di vita quotidiana. L’Impegno costituisce, secondo Bertin, una scelta esistenziale rivolta a modificare la realtà nella direzione del possibile. Se il modello educativo ideale è chiamato a storicizzarsi - preservando il suo orizzonte di possibilità e di utopia - non può che rivolgersi, oggi, alla formazione di nuove generazioni capaci di partecipare responsabilmente e intelligentemente all’uso e al controllo sociale (in direzione di Ragione, non di “alienazione”) dei suoi formidabili dispositivi scientifici. Un’umanità affrancata dall’incubo della sussistenza biologica e dagli oscurantismi etici e ideologici: libera di testimoniare la propria energia inventiva, la propria disponibilità socio affettiva e la propria sensibilità estetica.
Parliamo di un’umanità che sceglie di andare/oltre, verso un domani che non riproduca il presente ma ne rappresenti - sempre - un arricchimento. Siamo in cima alla collina fiorita del Pp. Nel percorrere i suoi prati sempre verdi ci inebriamo del profumo intenso del suo provvidenzialismo teleologico: che per Giovanni Maria Bertin si chiama forza-della-ragione, possibilità di dare risposta all’utopia e al rischio dell’inattuale. (2).



NOTE
(1) G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Roma, Armando 1968, pp. 42-43
(2) Per un approfondimento del scarno ritratto del nostro “maestro” Giovanni Maria Bertin, vedasi F. Frabboni, Il Problematicismo in pedagogia e in didattica, Trento, Erickson 2012.


"Riforma della scuola" n°15