1. IN
RICORDO DI UN MAESTRO
Il
2012 della Pedagogia italiana e dell’Alma Mater petroniana
ricorda il centenario della nascita di un illustre Padre delle
scienze dell’educazione del Novecento: Giovanni Maria Bertin. E’
un samurai petroniano che riposa - lassù - sulla collina di Spoon
River. Meglio: ai piedi del colle di San Luca.
In
queste righe porremo alla “moviola” (al rallentatore e in
gigantografia) una personalità scientifica e umana alla quale siamo
debitori di una irripetibile stagione di discepolanza. La sua
dirompenza epistemica si propone da autostrada (a-più-corsie:
storiche, filosofiche, letterarie, estetiche e didattiche) di sicura
tenuta ermeneutica e di inesauribile vitalità esistenziale per il
lungo il viaggio dell’educazione.
In
punta-di-piedi, ben consci della precarietà della nostra avventura
interpretativa non rinunceremo a identificare alcuni nuclei
concettuali che rischiarano la luna del Problematicismo
pedagogico (d’ora in poi: Pp) che
sta al crocevia della riflessione educativa nazionale ed europea.
Apriamo
il sipario dando voce a una strofa del Manifesto pedagogico di
Giovanni Maria Bertin.
“La
prospettiva problematicista moderna non è frutto di un astratto
progresso /della riflessione educativa/, ma è frutto della
rivoluzione scientifica, della rivoluzione tecnica, della rivoluzione
politica tuttora in corso nella storia dell’umanità. /…/ La
consapevolezza della problematicità dell’esperienza e l’esigenza
di una risoluzione razionale di essa trovano perciò nelle tendenze
della cultura contemporanea la loro riprova, e con essa la garanzia
della loro validità come princìpi metodologici generali di
un’interpretazione filosofica della realtà e di un atteggiamento
etico corrispondente” (1).
Il
pedagogista bolognese propone alla Pedagogia due orizzonti
speculativi prioritari: il versante della riflessione
teoretica e il versante della progettazione
esistenziale.
A
tal fine, la corsia di scorrimento del Pp chiede
alla Persona l’opzione intellettuale di avventurarsi in una
coraggiosa sfida educativa. Questa. Progettare un’umanità/altra in
grado di pensare con la propria testa (possibile, se
dotata di un pensiero plurale e laico) e di sognare con il
proprio cuore (possibile, se dotata di passione e di
solidarismo sociale). Avendo per obiettivo questo nobile progetto
formativo, il Pp si dota di un telescopio
attrezzato a inquadrare anche mondi sconosciuti alle
teorie dell’educazione legittimate dalla storiografia ufficiale.
Traguardo perseguibile relegando in soffitta i modelli investigativi
(le teorie-della-conoscenza) ricoperti di incrostazioni assiomatiche
e ascientifiche. Nella consapevolezza che quando i saperi/pedagogici
soffrono di miopia ermeneutica non sono più in grado di sbirciare e
leggere il futuro dell’educazione.
A
partire dal presente paradigma critico-fenomenologico, il Pp si
dota di lenti adeguate per osservare e comprendere l’orizzonte
universale (il piano razionale) dei possibili statuti
logico/formali elaborati dalla ricerca in educazione.
Un’epistemologia, dunque, intesa come possibilità e
non come certezza speculativa, come ipotesi e non
come assioma per un eventuale rispecchiamento progettuale.
Di
conseguenza, l’obiettivo del Pp è di
reclamare un congegno teorico che trascenda la parzialità della
forme deterministiche presenti nei contesti educativi: ponendosi
da idea-limite abilitata a fare interagire
dialetticamente le tante strade della formazione delle giovani
generazioni. Cioè a dire, un’idea di educazione in grado di
contrastare l’influenza di modelli già/dati, di seconda mano:
soprattutto, se rivendicano l’assioma di una validità assoluta e
la capacità di decidere una volta per tutte le vie dell’educazione.
Pertanto,
la scelta del modello pedagogico non é mai il frutto di un’equazione
algebrica, perché si configura come un’opzione che implica -
insieme - fedeltà alla ragione (intesa come
principio antidogmatico) e aderenza alla realtà (intesa
come percorso esistenziale).
Ne
deriva che il Pp porta per mano il
soggetto/Persona al di là degli anoressici orizzonti tolemaici
cari alle Pedagogie - più moderniste che postmoderniste - che hanno
abitato il Ventesimo secolo. Stancamente impegnate a cinguettare
vuoi spartiti soggettivisti (dando sonorità ai
piani dell’individuale e del privato), vuoi spartiti
oggettivisti (dando sonorità ai piani del sociale e del
collettivo). All’interno di questo dualismo interpretativo,
il Pp richiama l’attenzione sull’infinita
problematicità dell’esperienza educativa, interpretabile a patto
di dare la mano alla sua legge trascendentale. Vale a dire,
illuminando l’orizzonte-limite (tramite il principio di Ragione)
dell’infinito repertorio dei suoi possibili modelli. Soltanto su
questo altipiano fenomenico, il Pp eviterà le
determinazioni aprioristiche e le soluzioni esaustive delle scuole
pedagogiche ancorate a speculazioni di natura ontologica e
metafisica.
2. L’ARCO E LE FRECCE BERTINIANE
Avanziamo
la seguente tesi. Sulle spalle dell’arciere della foresta di
Sherwood - di nome Giovanni Maria Bertin - campeggia un Arco (il Pp)
fornito di sei nobili frecce: la Singolarità, l’Intenzionalità,
il Dissenso, l’Impegno, la Lievità e la Progettazione
esistenziale.
Ne
porremo alla “moviola” - al rallentatore e in gigantografia -
due: portano il nome di Singolarità e di Impegno.
LA
FRECCIA DI NOME SINGOLARITA’. - Tendendo l’arco
del Pp, Giovanni Maria Bertin scocca un dardo che
va a centrare il bersaglio del soggetto/Persona.
Copernicano
e mai tolemaico, il Pp é severo nel
giudicare una stagione di transizione tra il Ventesimo e il
Ventunesimo secolo presidiata da superpotenze economiche che
dispongono - da novelli Polifemi - di un occhio soltanto: perdipiù
tutto/mercato. Come dire, prediligono sguardi monodirezionali sia sul
dominio dei sistemi produttivi, sia sul controllo dei monopoli
dell’informazione mediatica, sia sulla standardizzazione dei
consumi collettivi.
Conseguentemente,
la stagione che inaugura il Duemila si trova al cospetto di una
società “oggettivante” che nega ossigeno esistenziale alla
Singolarità: irriducibile e inviolabile quanto a sentimenti, a
pensieri, a sogni. A questa, il Pp delega il
compito di dare futuro al carro dell’Orsa minore. Condizione
ineludibile per far sì che la sua stella polare - la Persona - possa
inondare di luce la rotonda dell’educazione.
Assicurando senso e significato ai
processi di liberazione e di emancipazione - sociali, culturali,
civili - di un’umanità da poco sbarcata sul terzo Millennio.
Per
fronteggiare la deriva della manipolazione e dell’asservimento
dell’umanità - di cui sono colpevoli due/Emme (il Mercato e il
Mediatico) - il principio nietzscheano della Singolarità viene
consacrato da Giovanni Maria Bertin a ultimo baluardo di difesa della
donna e dell’uomo in una stagione storica dove l’omologazione sta
troneggiando da totem di identificazione - e predestinazione - dei
processi di sviluppo e di cambiamento del Pianeta.
Una
Singolarità armata fino ai denti per sfidare il dilagante
appiattimento conformistico dei modi di pensare e di sognare. Ben
fornita sia di frecce targate diversità e vitalità
esistenziale, sia di frecce targate intelligenza
critica e moralità individuale. Una
Singolarità, dunque, come tensione-alla-libertà, come
orizzonte aperto verso un repertorio infinito di progettualità e di
utopie.
Con
la Singolarità, siamo sul crinale della dirompenza teoretica. Non
solo in quanto Pedagogia rivolta al possibile, al futuro e
all’inattuale, ma anche in quanto Soggettività che si distacca
dalle metafisiche che espropriano il “corredo” della vita, giorno
dopo giorno, tramite l’illusione romantica di una “naturalità”
individuale elevata a valore assoluto.
In
sintesi. L’avventura educativa reclama coraggio
esistenziale. Definibile come scelta disincantata di fronte ai
chiaroscuri della quotidianità. La sola in grado sia di stanare e
denunciare - senza falsi pudori, stolte illusioni e ironico distacco
- il mondo così com’è (popolato di maschere macchiate di
cupidigie, farisaismi, inganni), sia di impegnare l’umanità del
terzo Millennio a sfidare le patologie che affliggono gli odierni
teatri planetari.
Nel
condividere la sfida esistenziale del “coraggio”, il Pp sceglie
senza incertezze il compito di umanizzare e di valorizzare lo scrigno
della Singolarità sia delle donne, sia degli uomini attori
dell’odierna contrada storica. Consapevole che a questa, con sempre
maggiore frequenza, viene preclusa l’avventura umana dell’andare
oltre la siepe leopardiana: oltre-il-qui, verso l’ignoto. In un
mondo/nuovo che apra a una speranza pedagogica: popolare l’emisfero
boreale (ricco) e l’emisfero australe (povero) di un’umanità
equipaggiata sia di valori/culturali (un’umanità-còlta:
capace di pensare con la propria testa), sia di valori/civili
(un’umanità-responsabile: consapevole della non delegabilità dei
propri diritti di cittadinanza), sia di
valori/esistenziali (un’umanità-solidale: impegnata a
costruire un mondo popolato di democrazia, di giustizia, di
cooperazione e di pace).
Un’umanità
al Singolare, dunque. Capace di ergersi da antagonista irriducibile
dell’altra (mostruosa) faccia dell’umanità: il soggetto/Massa.
La cui gracilità esistenziale è testimoniata dal fatto di essere
manipolabile, omologabile, clonabile dai dispositivi di
uniformizzazione e di catramazione di cui è in possesso il Leviatano
dalle due/Emme.
E’
in questa prospettiva emancipativa che l’idea pedagogica di Bertin
si fa tensione alla libertà: orizzonte aperto a un repertorio
infinito di testimonianze, di opzioni e di valori. E’ un’ “idea”
assunta e legittimata - in sede continentale - per la sua dirompenza
civile, culturale ed esistenziale. Soltanto in sella all’umanità,
la Pedagogia potrà avventurarsi sia lungo le praterie del possibile,
del futuro e dell’utopico, sia lungo le frontiere abitate dal
soggetto/Persona. A patto, si è detto, che si liberi per sempre sia
dalle metafisiche che espropriano il corredo esistenziale
dell’individuo, sia dall’illusione romantica di una naturalità
ontologica quale valore assoluto.
Siamo
giunti sulla collina dell’attualità storica e culturale del Pp.
Lassù, si ode forte e chiaro il suo appello all’umanità ad
abitare l’“altrove”: un mondo futuro disponibile a dare dimora
all’inattuale e all’utopico. Dove
l’originalità e l’eccezionalità della donna e dell’uomo
(la loro Singolarità) potranno finalmente offrirsi da zattere di
salvataggio nel caso di naufragi nel mare di mondanità immanenti,
anonime, reificate.
Soltanto
percorrendo i crinali della Singolarità si potrà lottare-contro:
contro il disimpegno e il conformismo intellettuale, contro
l’intolleranza e la falsificazione etica, contro il cattivo gusto e
la mutilazione estetica, contro lo sfruttamento e la discriminazione
economica, sociale, culturale.
LA
FRECCIA DI NOME IMPEGNO. - A parere di Bertin, la
Pedagogia è sempre intenzionata e impegnata in una qualche
direzione. A decidere quale senso dare alla storia, alla società,
alla cultura: a scegliere tra conservazione e progresso. La
validità della sue direzioni educative non trova legittimazione
soltanto nell’organicità della formulazione teoretica,
ma soprattutto nella capacità di agire nella storia. Per
realizzare in essa l’istanza della Ragione: intesa come esigenza di
integrazione di tutti gli aspetti in cui si esprime l’infinita
ricchezza della vita. Il fatto che tale obiettivo sia
irrealizzabile in assoluto, data la problematicità dell’esperienza
educativa, non nega ma al contrario rafforza la fecondità di
quell’Engagement - mutuato da Sartre - tramite il quale le
donne e gli uomini possono costruire, insieme alla loro umanità di
singoli, anche l’umanità degli altri. Forte è il richiamo di
Bertin all’Impegno etico-sociale, insistito è il suo richiamo alla
cooperazione e alla solidarietà in un mondo sempre più contagiato
dal disimpegno e dall’indifferenza nei confronti dell’altro-da-me.
Con l’ovvia deriva verso disvalori privatistici,
individualistici, qualunquistici. Di qui il suo appello alla
Pedagogia perchè mai sia teorizzata stando “fuori”
dall’esperienza educativa. Un modello formativo progettato
in/laboratorio alluderebbe giocoforza a un’umanità astratta,
astorica, inesistente. A un profilo di donne e di uomini isolati
dalla maglia dei rapporti socioculturali con il loro ambiente di vita
quotidiana. L’Impegno costituisce, secondo Bertin, una scelta
esistenziale rivolta a modificare la realtà nella direzione
del possibile. Se il modello educativo ideale è chiamato
a storicizzarsi - preservando il suo orizzonte di possibilità e di
utopia - non può che rivolgersi, oggi, alla formazione di nuove
generazioni capaci di partecipare responsabilmente e
intelligentemente all’uso e al controllo sociale (in direzione di
Ragione, non di “alienazione”) dei suoi formidabili dispositivi
scientifici. Un’umanità affrancata dall’incubo della sussistenza
biologica e dagli oscurantismi etici e ideologici: libera di
testimoniare la propria energia inventiva, la propria disponibilità
socio affettiva e la propria sensibilità estetica.
Parliamo
di un’umanità che sceglie di andare/oltre, verso un domani che non
riproduca il presente ma ne rappresenti - sempre - un arricchimento.
Siamo in cima alla collina fiorita del Pp. Nel
percorrere i suoi prati sempre verdi ci inebriamo del profumo intenso
del suo provvidenzialismo teleologico: che per Giovanni Maria Bertin
si chiama forza-della-ragione, possibilità di dare risposta
all’utopia e al rischio dell’inattuale. (2).
NOTE
(1)
G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Roma, Armando 1968,
pp. 42-43
(2)
Per un approfondimento del scarno ritratto del nostro “maestro”
Giovanni Maria Bertin, vedasi F. Frabboni, Il Problematicismo
in pedagogia e in didattica, Trento, Erickson 2012.
"Riforma
della scuola" n°15