Massimo
Baldacci
Da
qualche tempo le forze neoliberiste ripetono ossessivamente un
principio: promuovere il merito, lasciando intendere
che le forze di sinistra - chiuse nelle loro convinzioni
egualitariste - siano ideologicamente e materialmente responsabili di
aver causato un livellamento che deprime le energie migliori del
Paese.
Come
tutte le cose ripetute pervicacemente, questa posizione si è diffusa
ed è quasi diventata senso comune, soprattutto (ma non solo) in
campo scolastico. Tuttavia, essa è inesatta da vari punti di vista.
Credo perciò opportuno evidenziare come stanno realmente le cose.
In
primo luogo, non è vero che il pensiero di sinistra sostenga
un’eguaglianza livellatrice e anti-meritocratica. Non è di certo
questa la posizione del Marx della Critica del programma di Gotha
(1875), nella quale si assegna il criterio del merito e quello del
bisogno a fasi storiche diverse, ponendo precise condizioni per il
passaggio dall’uno all’altro. Infatti, perfino la prima fase
dopo il superamento del capitalismo sarà necessariamente
caratterizzata da un criterio distributivo basato sul merito: ossia,
a ciascuno secondo il suo lavoro. Perciò, l’uguaglianza socialista
è di tipo antilivellatrice, e corrisponde al diritto proporzionale
alla prestazione di lavoro.
E,
per venire in tempi più vicini, nel campo della sinistra liberale,
Rawls (1), pur negando la priorità del
merito, giunge a legittimarlo come strumento per realizzare l’equità
sociale attraverso meccanismi redistributivi. Secondo il suo
principio di differenza, è preferibile una
distribuzione uniforme del prodotto sociale, salvo che una
distribuzione diversa non vada a vantaggio di tutti, e in particolare
dei meno favoriti. Così, la meritocrazia risulta giustificata se,
premiando il merito, la produttività complessiva aumenta, creando
una migliore possibilità di redistribuzione a favore dei meno
avvantaggiati.
La
tesi secondo cui il pensiero di sinistra tende a un’eguaglianza
livellatrice è perciò falsa. La sinistra non è contro il merito.
Anzi, come si fa a essere contro il merito? Il punto è che il
neoliberismo (soprattutto quello nostrano) ha propugnato una
concezione contraffatta e ideologicamente viziata del principio
meritocratico, spacciando per meriti quelli che sono soltanto
privilegi sociali acquisiti. Il campo della formazione scolastica ne
è un eccellente esempio.
Si
sostiene che chi primeggia a scuola lo fa in forza della propria
capacità naturale e del proprio impegno (anche se sussiste una
correlazione empiricamente dimostrata tra classe sociale
d’appartenenza e riuscita scolastica), e che la scuola deve
valorizzare questi meriti (si veda la recente idea del ministro
Profumo di premiare ogni anno lo studente migliore di ciascuna
scuola).
Ora,
a parte il fatto che non si capisce bene quale merito vi sarebbe ad
aver ricevuto un corredo genetico superiore nella lotteria naturale
(sembra una questione di fortuna, più che di merito), in questo modo
si trascurano i fattori sociali e culturali dello sviluppo, che
incidono invece pesantemente sullo sviluppo delle capacità. E non
pare che vi sia alcun merito nell’essere nato in un ambiente
sociale favorito, mentre sembra sicuramente ingiusto che lo sviluppo
di alcuni sia limitato da un ambiente svantaggiato. Se si desidera
scoprire i veri meriti, occorre una gara equa, nella quale sia
assicurata a tutti la parità dei punti di partenza. Altrimenti, la
corsa è truccata, e si dichiara meritevole chi è partito in netto
vantaggio. La tesi che la scuola deve promuovere il merito è perciò
ideologicamente viziata: maschera una realtà diversa, dove ci si
limita a ratificare i vantaggi sociali esistenti.
Don
Milani aveva visto con chiarezza il compito di una scuola veramente
“giusta”: colmare le diseguaglianze (o almeno ad accorciarle),
garantendo a tutti gli alunni il raggiungimento degli apprendimenti
fondamentali. Questo è anche il presupposto per cogliere in modo
equo i meriti effettivi.
(1)
Cfr. J. Rawls, Una teoria della
giustizia, Feltrinelli, Milano 1982 (1971).