martedì 20 novembre 2012

Ragionare nuovo. Oltre la meritocrazia.



Giovanni Fioravanti

A maggio di quest’anno è uscito, per la Garzanti, Italia, cresci o esci di Roger Abravanel, ingegnere, manager e consulente aziendale di varie multinazionali, autore nel 2008, sempre per Garzanti, del libro Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto. Abravanel ha pure un sito internet www. meritocrazia.com introdotto dall’asserzione “Il cambiamento in senso meritocratico della societa' non arrivera' dall'alto, ma dipendera' dalla volonta' di tanti nostri concittadini di farsi apertamente e trasparentemente Campioni del merito”..
Si tratta del pensatore di riferimento al quale durante il suo nefasto dicastero la ministra Gelmini, dopo le deludenti performance dei quindicenni italiani all’OCSE Pisa del 2006,  affidò il progetto nazionale PQM acronimo di Piano Nazionale per la Qualità e il Merito, di valutazione degli studenti e della qualità dell’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado. Nella conferenza stampa di illustrazione del piano nazionale la ministra e l’ingegnere dichiaravano la volontà di puntare sulla qualità dell’insegnamento piuttosto che sulla quantità a sostegno dell’idea che solo la meritocrazia negli studi può fungere da volano per l’economia del nostro paese. A giudicare dal numero scarsamente rilevante delle classi di scuola medie che vi hanno aderito e dalla esiguità dei fondi nazionali messi a disposizione delle scuole, sembrerebbe che il PQM serva soprattutto all’obiettivo di far emergere  quali sono gli studenti già dotati di loro, a prescindere dalla qualità della scuola ed evitare nel contempo che la nostra scuola, così come è, li possa guastare.
Sì, perché queste ragazze e questi ragazzi  esistono nonostante la scuola e non è difficile che la prassi quotidiana delle nostre aule finisca per mortificarli, quando addirittura demotivarli. Prendiamo uno studente delle nostre superiori. Perché dovrebbe essere motivato a dare il meglio di sé, a vincere le competizioni nazionali e internazionali, a entrare nell’albo nazionale delle eccellenze?  Cosa significa per uno studente delle superiori conquistare all’esame di stato 100 con lode, quando questo ormai per l’accesso alle facoltà universitarie è ininfluente, segnando così la condizione di grave distanza e scollamento tra sistema formativo scolastico e università. Quando per conseguire il cento e la lode bisogna aver totalizzato nell’ultimo triennio il massimo di credito scolastico, conseguito il massimo di punteggio alle prove scritte e orali dell’esame e siccome, a proposito di merito, questo non è sufficiente, con il regolamento Gelmini  occorre aver ottenuto negli scrutini finali relativi alla terzultima, penultima e ultima classe solo voti uguali o superiori a otto decimi in ogni disciplina, compresa l’educazione fisica e compreso il comportamento. Un percorso ad ostacoli, alla faccia del merito! E qual è il ritorno economico per chi giunge al traguardo del cento e lode? la stratosferica somma di 600 euro tassati alla fonte!
Altroché choosy, altroché merito e competizione, le ragazze e i ragazzi che nelle nostre scuole si affermano, spesso riconosciuti e stimati dai loro compagni e dalle loro compagne, credono a quello che fanno, credono che lo studio e la riuscita siano valori in sé neppure parenti con le filosofie dell’ingegner Abravanel. Tralascio il capitolo della partecipazione dei nostri studenti alle competizioni nazionali dalle olimpiadi di matematica ai certamen latinum. Gli studenti che si affermano a livello di istituto, poi a livello provinciale e quindi, dopo queste selezioni, partecipano alle gare nazionali, non sono in minima parte esonerati dal peso scolastico comune a tutti i loro compagni, anzi a questo devono aggiungere l’impegno per le competizioni nazionali, senza che sia loro concesso qualche sollievo dalla routine scolastica e dalle interrogazioni.  Questa è la flessibilità del nostro sistema scolastico, questa è la considerazione per chi dimostra di avere una qualche marcia in più. Nei nostri istituti  non c’è espressione d’ orgoglio nell’ avere simili ragazzi. Non c’ è assolutamente la capacità di far crescere negli studenti il senso di appartenenza alla loro scuola, di comunicare da parte dei dirigenti e degli insegnanti la soddisfazione della scuola ad avere tra i propri alunni risorse così preziose come i migliori tra loro.
In coda a tutto ciò sarebbe interessante sapere quante sono le imprese che nel nostro paese per assumere attingono o almeno consultano l’albo dell’eccellenze del MIUR. Forse non è il caso di approfondire, considerato il tasso di disoccupazione giovanile al 39,3%, con il 23% di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che sono neet, con un tasso di dispersione scolastica del 18%, ancora molto lontano dall’obiettivo 2020 di una percentuale inferiore al  10%, ma anche dalla media europea del 13,5%.
Ma è chiaro che il discorso della meritocrazia non viene dal nulla. E’ il volto buono del neoliberismo, è il volto buono della scuola di Chicago, degli Zingales di Fermare il declino, dei teorici del mercato meritocratico. Non credo valga la pena cadere nella trappola di una discussione alla fine oziosa su merito, meritocrazia e quant’altro.
In un paese in crisi, ragionare nuovo sarebbe davvero necessario e urgente. Purtroppo, proprio di questo, in giro c’è una grande carenza.
Sarebbe opportuno che intanto apprendessimo l’arte di considerare ogni individuo, ogni singolo individuo che viene al mondo come una risorsa fondamentale per la nostra società e per il suo futuro, sulla cui vita vale la pena investire al di là di ogni discorso ammuffito e stantio sulla morte o meno dell’umanesimo e della cultura umanistica, o della scuola com’era quando si poteva tranquillamente insegnare ex cathedra. E’ il caso di ricordare le conclusioni, più volte poi riprese negli anni successivi, del Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo del 2000, in cui si ribadisce che le persone costituiscono la risorsa più importante dell’Europa.
Restituire, dunque, centralità al valore di ogni singolo individuo, di ciascuno. Se non si parte da questo, da uno Stato in grado di garantire questo per tutti  e non solo per alcuni, ogni discorso sul merito suona fesso. E in questo la scuola e il sistema formativo nel loro complesso svolgono un ruolo fondamentale.
La scuola è per i più un luogo talmente ordinario della nostra vita che spesso scivola via tra le tante routine quotidiane. Eppure i nostri figli ogni anno impiegano, direi investono, sui banchi di scuola almeno mille ore della loro vita, non sono uno scherzo, è il loro capitale che si moltiplica anno dopo anno di scuola, un capitale di tempo che impiegano perché il futuro che sognano per sé non resti un sogno, ma si traduca in un autentico progetto di vita personale. Ma noi adulti ci rendiamo conto della responsabilità che abbiamo nei confronti di questo capitale? Un investimento fatto di ore, di giorni, di settimane, di anni scolastici che i nostri giovani impegnano nelle aule degli istituti scolastici italiani, la responsabilità che abbiamo di non sprecarne neppure una minima parte, di non bruciarlo, che sarebbe cosa gravissima e irresponsabile, di riempirlo della qualità migliore della conoscenza e dei saperi? Ecco la sfida che si apre ogni anno scolastico che inizia, non tanto e solo sulla riuscita dei nostri ragazzi, ma sulla nostra riuscita di adulti che portano la responsabilità della loro crescita, - crescere significa etimologicamente creare se stessi - di tenere alta la qualità del loro tempo scuola, di non bruciarlo, di far fruttare in conoscenze e competenze il tempo di vita che bambine e bambini, ragazze e ragazzi sacrificano sui banchi di scuola per quello studio necessario a rendere reali i sogni accarezzati da ognuno.
Io vorrei che di questa responsabilità noi adulti genitori, noi adulti che lavoriamo nella scuola rendessimo ogni anno conto ai nostri ragazzi, al Paese a cui la scuola appartiene.
Allora è tempo che la generazione degli adulti, che i  docenti, gli amministratori, lo Stato sentano tutto il peso e la portata della responsabilità che hanno nei confronti delle bambine e dei bambini, delle ragazze dei ragazzi di non sprecare, di non bruciare nulla di quel tempo di vita a loro sottratto davanti alle cattedre e alle lavagne, che sentano il dovere etico di rispondere pienamente di come esso a scuola viene impiegato e della qualità dell’istruzione che giorno dopo giorno viene loro impartita.
Esiste un interesse che è all’origine dello Stato democratico, quello, cioè, di  considerare ogni individuo che lo compone come una risorsa, per cui la piena realizzazione di quella “singola risorsa” non può che tradursi nel concreto interesse dello Stato stesso e della sua democrazia. Ogni individuo, quindi, costituisce di per sé una risorsa per la società e la fortuna di quella società dipende dal destino di ciascuna delle sue risorse umane.
Se il successo della società è pertanto affidato all'esito dell'apporto di ciascun individuo, in questa ottica gli individui non sono solo portatori di interessi, ma prioritariamente costituiscono le risorse su cui fondare l’esistenza democratica di uno Stato.
Presentata in questo modo la questione, accanto al diritto inalienabile all’istruzione di cui ogni individuo è portatore, non può che sussistere l’interesse dello Stato, quale espressione della comunità sociale, a investire in saperi sulle persone, su ogni singolo individuo che ne costituisce la preziosa  risorsa da cui muovere per progettare il futuro politico e sociale di quella stessa comunità, facendo in modo che il sapere, prima di essere considerato come un requisito, se mai da valutare con un voto, sia considerato un diritto da promuovere, tutelare e implementare al pari delle stesse libertà.
Per cui anziché porre l’enfasi sul merito, sulla competizione,  sulla riuscita scolastica o meno di ogni singolo alunno e organizzare il sistema dell’istruzione in funzione di tutto questo, l’enfasi, il merito e la competizione dovrebbero essere prioritariamente collocati nella riuscita dello Stato e del suo sistema scolastico a perseguire il successo formativo di ogni singola alunna e di ogni singolo alunno, ognuno assunto come risorsa su cui investire per l’avvenire economico, culturale e sociale dello Stato stesso, facendosi pienamente carico del valore del tempo di vita di ogni bambina e bambino, di ogni ragazza e ragazzo, al contempo rispondendo della qualità delle conoscenze trasmesse e della qualità del futuro su cui ognuno può contare, avendo accanto uno Stato amico, portatore dell’interesse per l’istruzione di ciascuno come interesse generale e collettivo.

"Riforma della scuola" n° 16

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