Giovanni Fioravanti
A
maggio di quest’anno è uscito, per la Garzanti, Italia, cresci o esci di Roger Abravanel, ingegnere, manager e
consulente aziendale di varie multinazionali, autore nel 2008, sempre per
Garzanti, del libro Meritocrazia: Quattro
proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco
e più giusto. Abravanel ha pure un sito internet www. meritocrazia.com
introdotto dall’asserzione “Il cambiamento in senso
meritocratico della societa' non arrivera' dall'alto, ma dipendera' dalla
volonta' di tanti nostri concittadini di farsi apertamente e trasparentemente
Campioni del merito”..
Si
tratta del pensatore di riferimento al quale durante il suo nefasto dicastero la ministra Gelmini,
dopo le deludenti performance dei quindicenni italiani all’OCSE Pisa del
2006, affidò il progetto nazionale PQM
acronimo di Piano Nazionale per la Qualità e il Merito, di valutazione degli
studenti e della qualità dell’insegnamento nella scuola secondaria di primo
grado. Nella conferenza stampa di illustrazione del piano nazionale la ministra
e l’ingegnere dichiaravano la volontà di puntare sulla qualità
dell’insegnamento piuttosto che sulla quantità a sostegno dell’idea che solo la
meritocrazia negli studi può fungere da volano per l’economia del nostro paese.
A giudicare dal numero scarsamente rilevante
delle classi di scuola medie che vi hanno aderito e dalla esiguità dei fondi
nazionali messi a disposizione delle scuole, sembrerebbe che il PQM serva
soprattutto all’obiettivo di far emergere
quali sono gli studenti già dotati di loro, a prescindere dalla qualità
della scuola ed evitare nel contempo che la nostra scuola, così come è, li
possa guastare.
Sì,
perché queste ragazze e questi ragazzi
esistono nonostante la scuola e non è difficile che la prassi quotidiana
delle nostre aule finisca per mortificarli, quando addirittura demotivarli.
Prendiamo uno studente delle nostre superiori. Perché dovrebbe essere motivato
a dare il meglio di sé, a vincere le competizioni nazionali e internazionali, a
entrare nell’albo nazionale delle eccellenze?
Cosa significa per uno studente delle superiori conquistare all’esame di
stato 100 con lode, quando questo ormai per l’accesso alle facoltà
universitarie è ininfluente, segnando così la condizione di grave distanza e
scollamento tra sistema formativo scolastico e università. Quando per conseguire
il cento e la lode bisogna aver totalizzato nell’ultimo triennio il massimo di
credito scolastico, conseguito il massimo di punteggio alle prove scritte e
orali dell’esame e siccome, a proposito di merito, questo non è sufficiente,
con il regolamento Gelmini occorre aver
ottenuto negli scrutini finali relativi alla terzultima, penultima e ultima
classe solo voti uguali o superiori a otto decimi in ogni disciplina, compresa
l’educazione fisica e compreso il comportamento. Un percorso ad ostacoli, alla
faccia del merito! E qual è il ritorno economico per chi giunge al traguardo
del cento e lode? la stratosferica somma di 600 euro tassati alla fonte!
Altroché
choosy, altroché merito e competizione, le ragazze e i ragazzi che nelle nostre
scuole si affermano, spesso riconosciuti e stimati dai loro compagni e dalle
loro compagne, credono a quello che fanno, credono che lo studio e la riuscita
siano valori in sé neppure parenti con le filosofie dell’ingegner Abravanel.
Tralascio il capitolo della partecipazione dei nostri studenti alle
competizioni nazionali dalle olimpiadi di matematica ai certamen latinum. Gli
studenti che si affermano a livello di istituto, poi a livello provinciale e
quindi, dopo queste selezioni, partecipano alle gare nazionali, non sono in
minima parte esonerati dal peso scolastico comune a tutti i loro compagni, anzi
a questo devono aggiungere l’impegno per le competizioni nazionali, senza che
sia loro concesso qualche sollievo dalla routine scolastica e dalle
interrogazioni. Questa è la flessibilità
del nostro sistema scolastico, questa è la considerazione per chi dimostra di
avere una qualche marcia in più. Nei nostri istituti non c’è espressione d’ orgoglio nell’ avere
simili ragazzi. Non c’ è assolutamente la capacità di far crescere negli
studenti il senso di appartenenza alla loro scuola, di comunicare da parte dei
dirigenti e degli insegnanti la soddisfazione della scuola ad avere tra i
propri alunni risorse così preziose come i migliori tra loro.
In
coda a tutto ciò sarebbe interessante sapere quante sono le imprese che nel
nostro paese per assumere attingono o almeno consultano l’albo dell’eccellenze
del MIUR. Forse non è il caso di approfondire, considerato il tasso di
disoccupazione giovanile al 39,3%, con il 23% di ragazzi tra i 15 e i 29 anni
che sono neet, con un tasso di dispersione scolastica del 18%, ancora molto
lontano dall’obiettivo 2020 di una percentuale inferiore al 10%, ma anche dalla media europea del 13,5%.
Ma è
chiaro che il discorso della meritocrazia non viene dal nulla. E’ il volto
buono del neoliberismo, è il volto buono della scuola di Chicago, degli
Zingales di Fermare il declino, dei teorici del mercato meritocratico. Non credo valga la pena cadere nella trappola di una
discussione alla fine oziosa su merito, meritocrazia e quant’altro.
In un
paese in crisi, ragionare nuovo sarebbe davvero necessario e urgente.
Purtroppo, proprio di questo, in giro c’è una grande carenza.
Sarebbe opportuno che intanto apprendessimo
l’arte di considerare ogni individuo, ogni singolo individuo che viene al mondo
come una risorsa fondamentale per la nostra società e per il suo futuro, sulla
cui vita vale la pena investire al di là di ogni discorso ammuffito e stantio
sulla morte o meno dell’umanesimo e della cultura umanistica, o della scuola
com’era quando si poteva tranquillamente insegnare ex cathedra. E’ il caso di
ricordare le conclusioni, più volte poi riprese negli anni successivi, del
Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo del 2000, in cui si ribadisce
che le persone costituiscono la risorsa più importante dell’Europa.
Restituire, dunque, centralità al valore di ogni
singolo individuo, di ciascuno. Se non si parte da questo, da uno Stato in
grado di garantire questo per tutti e
non solo per alcuni, ogni discorso sul merito suona fesso. E in questo la
scuola e il sistema formativo nel loro complesso svolgono un ruolo
fondamentale.
La
scuola è per i più un luogo talmente ordinario della nostra vita che spesso
scivola via tra le tante routine quotidiane. Eppure i nostri figli ogni anno
impiegano, direi investono, sui banchi di scuola almeno mille ore della loro
vita, non sono uno scherzo, è il loro capitale che si moltiplica anno dopo anno
di scuola, un capitale di tempo che impiegano perché il futuro che sognano per
sé non resti un sogno, ma si traduca in un autentico progetto di vita
personale. Ma noi adulti ci rendiamo conto della responsabilità che abbiamo nei
confronti di questo capitale? Un investimento fatto di ore, di giorni, di
settimane, di anni scolastici che i nostri giovani impegnano nelle aule degli
istituti scolastici italiani, la responsabilità che abbiamo di non sprecarne
neppure una minima parte, di non bruciarlo, che sarebbe cosa gravissima e
irresponsabile, di riempirlo della qualità migliore della conoscenza e dei
saperi? Ecco la sfida che si apre ogni anno scolastico che inizia, non tanto e
solo sulla riuscita dei nostri ragazzi, ma sulla nostra riuscita di adulti che
portano la responsabilità della loro crescita, - crescere significa
etimologicamente creare se stessi - di tenere alta la qualità del loro tempo
scuola, di non bruciarlo, di far fruttare in conoscenze e competenze il tempo di
vita che bambine e bambini, ragazze e ragazzi sacrificano sui banchi di scuola
per quello studio necessario a rendere reali i sogni accarezzati da ognuno.
Io
vorrei che di questa responsabilità noi adulti genitori, noi adulti che
lavoriamo nella scuola rendessimo ogni anno conto ai nostri ragazzi, al Paese a
cui la scuola appartiene.
Allora
è tempo che la generazione degli adulti, che i
docenti, gli amministratori, lo Stato sentano tutto il peso e la portata
della responsabilità che hanno nei confronti delle bambine e dei bambini, delle
ragazze dei ragazzi di non sprecare, di non bruciare nulla di quel tempo di
vita a loro sottratto davanti alle cattedre e alle lavagne, che sentano il
dovere etico di rispondere pienamente di come esso a scuola viene impiegato e
della qualità dell’istruzione che giorno dopo giorno viene loro impartita.
Esiste
un interesse che è all’origine dello Stato democratico, quello, cioè, di considerare ogni individuo che lo compone
come una risorsa, per cui la piena realizzazione di quella “singola risorsa”
non può che tradursi nel concreto interesse dello Stato stesso e della sua
democrazia. Ogni individuo, quindi, costituisce di per sé una risorsa per la
società e la fortuna di quella società dipende dal destino di ciascuna delle sue
risorse umane.
Se
il successo della società è pertanto affidato all'esito dell'apporto di ciascun
individuo, in questa ottica gli individui non sono solo portatori di interessi,
ma prioritariamente costituiscono le risorse su cui fondare l’esistenza democratica
di uno Stato.
Presentata
in questo modo la questione, accanto al diritto inalienabile all’istruzione di
cui ogni individuo è portatore, non può che sussistere l’interesse dello Stato,
quale espressione della comunità sociale, a investire in saperi sulle persone,
su ogni singolo individuo che ne costituisce la preziosa risorsa da cui muovere per progettare il
futuro politico e sociale di quella stessa comunità, facendo in modo che il
sapere, prima di essere considerato come un requisito, se mai da valutare con
un voto, sia considerato un diritto da promuovere, tutelare e implementare al
pari delle stesse libertà.
Per
cui anziché porre l’enfasi sul merito, sulla competizione, sulla riuscita scolastica o meno di ogni
singolo alunno e organizzare il sistema dell’istruzione in funzione di tutto
questo, l’enfasi, il merito e la competizione dovrebbero essere
prioritariamente collocati nella riuscita dello Stato e del suo sistema
scolastico a perseguire il successo formativo di ogni singola alunna e di ogni
singolo alunno, ognuno assunto come risorsa su cui investire per l’avvenire
economico, culturale e sociale dello Stato stesso, facendosi pienamente carico
del valore del tempo di vita di ogni bambina e bambino, di ogni ragazza e
ragazzo, al contempo rispondendo della qualità delle conoscenze trasmesse e
della qualità del futuro su cui ognuno può contare, avendo accanto uno Stato
amico, portatore dell’interesse per l’istruzione di ciascuno come interesse
generale e collettivo.